Dopo Pulviscolo Colombre torna con “Corallo”

Il Colombre è un mostro dei mari creato dall’immaginazione dello scrittore Dino Buzzati. Ed è anche il nome d’arte del cantautore Giovanni Imparato che, dopo il fortunato esordio con Pulviscolo (2017), candidato nella cinquina del Premio Tenco come miglior opera prima, è tornato con “Corallo”, appena uscito per BombaDischi. Sabato 4 aprile Colombre è stato tra gli ospiti della seconda puntata di #SeiACasa. Il Sei – Sud est indipendente, festival pugliese ideato, prodotto e promosso da Coolclub – con la direzione artistica di Cesare Liaci – non si è fermato, infatti, per l’emergenza Coronavirus e propone un nuovo format da salotto sui social. Tra un brano e l’altro, Colombre ha risposto in diretta (clicca qui per rivedere il video) ad alcune domande.

Il disco racchiude un mix di sonorità internazionali unite alla sensibilità propria del cantautorato italiano. Per conoscere questo tuo lavoro comincerei dal nome: che cosa rappresenta l’immagine del “Corallo”?
Il corallo rappresenta qualcosa di prezioso da conservare con cura, qualcosa da raggiungere soprattuto se hai voglia di andare a conoscere in profondità la realtà delle cose. Quindi ho racchiuso quello che per me rappresenta tutto questo all’interno del disco: i rapporti con le persone, le esperienze che ho vissuto, parte della mia vita che considero profondo come il corallo.

“Non ti prendo la mano”, uno dei due singoli che hanno anticipato l’uscita del disco, parla del futuro o meglio di come bisognerebbe affrontarlo. Qual è l’atteggiamento di Colombre in risposta al tempo che passa? 
È un atteggiamento sicuramente propositivo, votato verso la fiducia delle cose. Una crescita interiore ed esteriore che mi impegno a raggiungere. Nella canzone “Non ti prendo la mano” parlo di una fine che però viene affrontata con forza e voglia di guardare oltre, oltre quella finestra, oltre le cose. Ecco sì, sono affascinato dalla speranza nella vita.

La tua carriera vanta anche altri traguardi come ad esempio la tua esperienza da turnista nel tour Evergreen di Calcutta. Quanto credi che influisca mettere la propria competenza musicale a disposizione della musica di altri? 
È un discorso di scambio, così nella musica come anche nei rapporti umani. Se tu sei come un riccio non impari niente, se ti apri e ti metti a disposizione, invece, cresci. Ho imparato tanto anche da questa esperienza. In queste occasioni si cresce insieme ed è interessante perché  dai il giusto valore al senso della collettività. Ti rendi conto di quanto sia importante. Soprattutto in un periodo come ora – in cui la gente esce di casa e si fa i cazzi suoi senza il danno che reca –, così anche su un palco con 11 persone: impari ad avere rispetto di tutti, diventi una squadra. Capisci quando fare un passo indietro o un passo in avanti. Ed è stata la prima volta in cui mi sono confrontato con così tanti musicisti su un palco, non avendo mai suonato in un’orchestra… (ride ndr) Oddio, ho suonato in una banda quando ero piccolo. Ricordo ancora le prove del martedì sera a Bologna, insieme a questi anziani che suonavano da paura, mentre mangiavano formaggio e bevevano vino. Mi perdevo in quell’atmosfera dal sound anni ’20… ecco, suonare con 11 persone sul palco è stato un po’ come suonare in situazioni simili.

Cristiana A. Francioso