Tutta la sintesi dell’indie italiano in Bartolini

Se volete farvi un’idea dell’ottimo livello che ha raggiunto l’indie italiano negli ultimi dieci anni, il consiglio è quello di ascoltare Giuseppe Bartolini venerdì 28 agosto al Castello Volante di Corigliano d’Otranto nell’ambito, ovviamente, del SEI Festival.

Classe ’95, incarna probabilmente il prototipo – ovviamente homemade, niente costruzioni nei laboratori dei talent – del cantautore indie che ha sviluppato il percorso periferia-centro passando per la fase UK, la riscoperta del sound vintage made in Italy e gli immancabili tormenti interiori che ne caratterizzano i testi.

Il suo viaggio sulle orme di Dario Brunori comincia da un paesino di 10mila anime in Calabria, “penisola infelice” dove un dodicenne che nel 2007 suona la chitarra e ascolta Wild Nothing, The Drums o i Phoenix non ha nessuno con cui condividere la propria passione musicale. Anzi, a volte viene anche bullizzato per questo. Pur non riuscendo a formare una band, l’anima rock sopravvive nel chiuso della sua cameretta dove continua a suonare e ascoltare una montagna dischi. Giuseppe attinge volentieri anche dallo scaffale di vinili del padre e dello zio, appoggiando la puntina su masterpiece della musica italianaquali ad esempio Anima Latina di Lucio Battisti o Bollicine di Vasco Rossi. Ma la vita si fa dura in adolescenza quando si è diversi e introversi: buttarsi giù è molto più facile che camminare a testa alta. Così Giuseppe a 16 anni smette completamente di suonare e si rifugia spesso e volentieri a casa della nonna, che da circa vent’anni vive sola in riva al mare. Qui fa sedimentare il suo spleen e matura la decisione di lasciare la Calabria, gettando inconsapevolmente le basi per il suo futuro.

Finito il liceo, la destinazione prescelta è Roma, che negli anni ’10 di questo secolo è considerata la “capitale dell’indie”. Per Giuseppe non è un punto di arrivo bensì di partenza per scoprire sé stesso e dare libero sfogo alla propria arte. Ricomincia a scrivere, addirittura a cantare senza vergognarsi della sua voce. Nei lunghissimi tratti di mezzi pubblici per frequentare l’università trova l’ispirazione per i testi che tira giù su un’agendina. La vita da fuorisede nella Capitale è fatta di studio, concerti e tanta quotidianità varia in cui, nelle sue liriche, non trovano spazio né amore né politica. Tutti i riferimenti un po’ più malinconici, infatti, sono rivolti verso la propria terra d’origine e quel rapporto amore-odio proiettato verso il futuro ma desideroso di rivivere il gioioso passato infantile. Comincia a sentirsi romano in Calabria e calabrese a Roma: una condizione di perenne estraneità che ben presto accresce in Bartolini la voglia di viaggiare, scoprire nuovi mondi, nuovi punti di vista. E accettare, dopo mille traversie burocratiche, una destinazione Erasmus che non faceva gola a nessuno: Manchester.

Così Bartolini passa da pacco sballottolato qua e là a corriere che si auto-commissiona la spedizione. L’esperienza in UK è immancabile per chi coltiva ambizioni musicali, siano esse rock, punk o reggae. Ma Londra è troppo caotica, banale (e aggiungiamocelo pure: cara) mentre Manchester, pur nel suo esotismo, rappresenta quella giusta via di mezzo tra i mondi fino ad allora conosciuti da Giuseppe. Nonché patria di alcuni dei suoi gruppi preferiti come Oasis, Joy Division o Happy Mondays. E se Roma lo ha accolto non facendolo sentire più strano, inadeguato, Manchester gli ha dato la consapevolezza che la musica era la sua strada.

Non è stato facile per lui, meteoropatico, adattarsi. Per i primi due mesi quasi non esce di casa, non dorme ed è completamente solo. Poi le prime conoscenze, le prime situazioni “open mic” nei pub in cui imbraccia la chitarra e si rimette completamente al giudizio del pubblico. Come per uno psicotico scherzo del destino suona sempre Roma, ma la gente gli dice “Bravo! Non si capisce niente di quello che canti, però sei bravo, è il tuo. Uno sprone che gli stimola la scrittura di uno dei suoi brani più apprezzati – nonché unico scritto a Manchester – Coltello Di Plastica, in cui fonde tali molteplici esperienze in un risultato che va dai The Cure ai Tre Allegri Ragazzi Morti.

E sempre a Manchester, Bartolini sviluppa il concetto di Penisola che poi diverrà anche il nome del suo primo album. In Inghilterra esce fuori un’italianità che Giuseppe non sospettava di avere o dalla quale era sempre rifuggito. Nei modi, nei gusti, nell’anima. Un difetto che visto dall’ottica british diventa pregio e che lo porterà poi nel 2017 a creare un brano proprio dal titolo Penisola: sarà l’unica canzone scritta in Calabria, per fare pace con le proprie origini e al tempo stesso ammettere a sé stessi che si è come una penisola, amanti della solitudine ma al tempo stesso incapaci di tagliare i ponti con gli altri.

Quello che torna a Roma dopo l’Erasmus è un Bartolini più maturo. Mette in piedi un collettivo artistico chiamato Talenti Digital, dal nome del quartiere che lo ospita. Adesso comincia a prendere il lavoro sulla musica molto più seriamente. Non appunta più solo sull’agenda nei mezzi pubblici ma ora ha la macchina e nel traffico romano registra le melodie direttamente allo smartphone, per non perderle. Cominciano a uscire i primi singoli e poi un EP, BRT Vol.1, in cui gioca ancora con la confusione che si genera tra il suo nome e quello della famosa ditta di trasporti e in cui è contenuta anche Manchester, canzone scritta a Roma proprio in un momento di nostalgia inglese e che riporta alle sonorità dei Verdena e, ancora una volta, The Cure.

Nel frattempo, però, il padre di Giuseppe nonché suo vero mentore musicale viene a mancare. È un brutto colpo, considerando che all’inizio il genitore si era opposto alla sua carriera ed ora invece il figlio scrive tutte le sue canzoni pensando a lui e a come reagirebbeascoltandole. Un segreto, un amore sanguigno che non gli ha mai confessato e che ora si porta dentro come un macigno: “Purtroppo se ne è andato proprio quando io ho iniziato, ha ascoltato solo le prime canzoni e la cosa che mi fa stare male è il fatto che lui non ascolterà mai questo disco. Vivo tutti i giorni pensando a questo, però penso anche che in qualche modo lui lo sappia, questo disco è anche per lui, c’è lui dentro questo disco quindi è come se vivesse in un certo senso”.

La musica diventa dunque anche terapia per Bartolini, come in Iceberg, Luna Park o ancora in Like, pezzo nato proprio da una conversazione telefonica con suo padre. E non è certamente un caso che il primo singolo estratto dall’album sia Non Dirmi Mai: un testo solo apparentemente dedicato a una donna, a tratti commovente in cui Bartolini si rivolge disperato al padre perduto, mettendo in bella evidenza nella melodia una citazione inequivocabile ad Amarsi Un Po’ di quel Lucio Battisti tanto amato dal genitore.

Adesso che Bartolini non è più un pacco ma un corriere, non più un ragazzo ma un uomo, ha condensato gli ultimi cinque anni di vita nell’album Penisola.

Un viaggio introspettivo che lo ha portato in luoghi nuovi, quelli della maturità, degli affetti e del bisogno della vicinanza dell’altro che scopriremo in una chiave molto intima preparata esclusivamente per il SEI Festival, per cui Bartolini si esibirà venerdì 28 agosto al Castello Volante di Corigliano d’Otranto.